Attenti alla Natura: il 3 marzo si celebra il World Wildlife Day

World wildlife day

Il 3 marzo si celebra in tutto il pianeta il World Wildlife Day (Giornata Mondiale della Natura), istituita nel 1975 dall’UNESCO per sensibilizzare e promuovere la conservazione delle risorse naturali e proteggere la biodiversità sul nostro pianeta.

La data non è casuale: il 3 marzo, infatti, coincide con l’anniversario della firma della Convenzione sul Commercio Internazionale delle Specie Minacciate di Fauna e Flora Selvatiche (CITES) del 1973, un accordo internazionale che mira a proteggere flora e fauna selvatiche limitando il commercio di specie in pericolo.

Nonostante i decenni trascorsi dalla primissima celebrazione, il tema rimane oggi più che mai attuale. A dimostrazione di ciò diversi dati:

    1 milione di specie animali e vegetali rischiano l’estinzione

    Secondo l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services sono circa un milione le specie che rischiano l’estinzione nelle prossime decadi a causa dell’attività umana. Tra i fattori che contribuiscono a questa perdita: la deforestazione, la conversione di terre per l’agricoltura e l’allevamento, la pesca eccessiva e l’inquinamento. Tali fattori hanno portato a una perdita del 75% della biodiversità terrestre e del 66% di quella marina.

    10 milioni di ettari di foresta distrutti

    La FAO ha annunciato, nel 2020, che ogni anno vengono distrutti circa 10 milioni di ettari di foresta a causa della deforestazione umana. L’area forestale totale del pianeta si è ridotta di circa 178 milioni di ettari negli ultimi 20 anni, e questo principalmente a causa dell’espansione agricola, della produzione del legname e della creazione di terreni edificabili. Il problema è serio perché, oltre a causare un impatto negativo sulla biodiversità, questo rappresenta anche una delle principali cause del cambiamento climatico, considerando che le foreste assorbano anidride carbonica e aiutino a mitigare le emissioni di gas serra.

    Una minaccia per gli oceani

    Il Report sullo Stato dell’Ambiente Globale 2022 pubblicato dalle Nazioni Unite sottolinea come il cambiamento climatico e la sovrappesca stanno minacciando la salute degli oceani e delle numerose specie marine che ospitano. L’aumento delle temperature sta, infatti, causando l’acidificazione delle acque, provocando conseguenze disastrose. Si stima che entro il 2043 il 90% delle barriere coralline del mondo potrebbe sparire e che, a causa della pesca illegale e indiscriminata, molte specie marine sono oggi a rischio di estinzione.

    Il 3 marzo delinea quindi un punto di partenza, ogni nuovo anno, per aspirare a un cambiamento reale e concreto. L’attuale situazione deve spingere a pensare che ancora molto possa essere fatto e, con questo, numerose soluzioni dovrebbero essere adottate per proteggere l’ambiente: la promozione di energia rinnovabile, la riduzione degli sprechi, l’adozione di pratiche agricole sostenibili e, prima di tutto, un impegno individuale attento e costante.

    Per poter accelerare il cambiamento, infatti è necessario che ognuno di noi ripensi al proprio stile di vita: con Egato 4 Latina abbiamo scelto di condividere delle case history che attualmente contribuiscono al cambiamento (leggi di più sulla rubrica innovazione), oltre che alcuni semplici consigli che possono aiutare a salvare la risorsa idrica (clicca qua).

    Ma non può bastare solo questo! La Giornata Mondiale Della Natura deve rappresentare, inoltre, un’opportunità per trasmettere una nuova cultura e promuovere un’istruzione ambientale – sia all’interno delle scuole che nella società in generale – per aiutare nuove e vecchie generazioni ad adottare tutte le soluzioni necessarie a generare cambiamento.

    A Sabaudia l’acqua ha “una storia a lieto fine”

    Acqua, una storia a lieto fine

    La siccità che ha colpito gli ultimi anni è un segnale chiaro di come dovremmo ripensare all’utilizzo che facciamo dell’acqua: educare le nuove generazioni verso la tutela e il riciclo della risorsa diventa un punto centrale riguardo al futuro. Ed è quello che è stato fatto dall’Istituto Pangea onlus che, coinvolgendo le scuole del Comune di Sabaudia, ha dato vita al progetto “Acqua: una storia a lieto fine” per sensibilizzare alla riduzione dell’inquinamento di origine domestica di fiumi, laghi e mare e al riutilizzo delle acque reflue, unendo l’evoluzione tecnologica odierna alla storia dell’Antica Roma.

    Noi di Egato 4 Latina abbiamo intervistato Giulia Sirgiovanni, vicepresidente dell’Istituto Pangea e Responsabile del progetto, per farci raccontare come sono stati coinvolti i cittadini più giovani all’interno dell’iniziativa.

    Giulia, come nasce il progetto?

    L’iniziativa nasce in risposta ad un bando della Provincia di Latina per la “Realizzazione di campagne didattiche”  nell’ambito del Piano di Riqualificazione Ambientale del Progetto Rewetland. Il Comune di Sabaudia ha ottenuto il co-finanziamento e l’Istituto Pangea onlus, che ne gestisce il laboratorio territoriale di educazione ambientale “Labnet Lazio”, ha realizzato il progetto.

    Abbiamo cominciato con un’azione formativa destinata agli insegnanti di entrambi gli Istituti comprensivi di Sabaudia  con approfondimenti e attività pratiche che si sono svolti in parte in aula e in parte sul campo nel territorio del Parco Nazionale del Circeo che è anche un partner del progetto.  A seguire sono state coinvolte complessivamente 25 classi di questi insegnanti, classi di tutti gli ordini e gradi dalle scuole primarie fino alle superiori.

    Il progetto si chiama “Acqua, una storia a lieto fine” e, infatti, nel racconto della risorsa vi siete proprio immersi nella storia?

    Si. Il progetto nasce per educare le giovani generazioni ad usare sempre meno prodotti inquinanti e al “riciclo” della risorsa. Si è parlato di acque reflue e di fitodepurazione  – ovvero un sistema naturale di depurazione che ne permette il loro riutilizzo. Le attività didattiche in aula e sul campo sono state diverse,  tra quelle più interessanti ci sono proprio le uscite realizzate nella villa dell’Imperatore Domiziano. Tutti sappiamo quanto l’acqua sia stata un elemento fondamentale nella storia dell’Antica Roma. I resti della villa, del I secolo d.C., sono un esempio di quanto fossero avanzati gli impianti idrici costruiti 2000 anni fa dai Romani.

    Sul luogo abbiamo mostrato ai ragazzi, ad esempio, la cosiddetta “forica” (una latrina) nella quale tutt’oggi notiamo la canaletta esterna. Quest’ultima, che serviva per fornire l’acqua per l’igiene intima della persona, proseguiva passando sotto le sedute della latrina stessa. Grazie all’ingegnosità della costruzione, l’acqua utilizzata dai Romani per lavarsi, era la stessa che ripuliva la forica dalle deiezioni. Quindi, al contrario di quanto avviene oggi, non utilizzavano acqua potabile per lo scarico, ma avevano trovato un modo di riutilizzare le acque reflue.

    Abbiamo scelto di collegare questo percorso alla formazione degli studenti per dimostrare che concetti importanti come l’uso razionale dell’acqua e l’igiene erano applicati in epoche storiche molto lontane con modalità molto simili a quelle attuali, a volte persino migliori. È stato anche importante farli riflettere sul fatto che, con la caduta dell’Impero Romano, per circa 1500 anni la civiltà occidentale ha abbandonato tutte queste buone pratiche, che noi diamo per scontate, e le ha ritrovate solo negli ultimi 70 anni.

    Questa era però solo una prima parte delle attività: avete infatti messo alla prova gli studenti con esercitazioni diversificate in base al loro grado scolastico.

    Si, le attività sono state numerose e ognuna di queste era calibrata a seconda delle potenzialità degli studenti e ai loro programmi scolastici. Anche le esercitazioni  finali sono state modulate seguendo questo criterio. Le scuole primarie e secondarie di primo grado hanno seguito una breve formazione sulla scrittura creativa e la realizzazione di pannelli in linea con i principi dell’Interpretazione Ambientale – brevi e accattivanti – e poi hanno elaborato una propri proposta di pannello divulgativo volto a coinvolgere la popolazione e i turisti sul tema delle acque reflue; per le scuole secondarie di secondo grado abbiamo invece deciso di testare le abilità e la creatività chiedendo di svolgere attività più elaborate come sperimentazioni o campagne social, sempre dopo aver seguito una breve formazione.

    E quali sono stati i risultati finali?

    Nel caso degli studenti più piccoli – elementari e medie – sulla base di quanto svolto con le classi, abbiamo elaborato tre pannelli. Questi verranno posizionati su una struttura mobile che può essere spostata in diversi siti del Comune di Sabaudia. Nella grafica abbiamo inserito disegni e testi creati dai ragazzi nell’ambito delle esercitazioni.


    Nel caso degli studenti più grandi, le attività sono state più articolate. Alcune classi si sono cimentate nella costruzione di un piccolo impianto di fitodepurazione con materiali di riciclo, così da capire come le acque reflue possono essere riutilizzate anche in ambito domestico. Le altre hanno invece elaborato una campagna social: attraverso il profilo Tik Tok e Instagram degli studenti e quelli Instagram e Facebook dell’Istituto Pangea sono stati divulgati dei contenuti di colore (come reel o meme) sempre per sensibilizzare all’uso consapevole dell’acqua e al suo riutilizzo.

    E infine di tutto il lavoro ne è uscita una pubblicazione?

    Esattamente. Dopo l’incontro con le classi abbiamo pubblicato tre fascicoli – un manuale per insegnanti e due quaderni per i ragazzi – entrambi sul tema dell’acqua.
    Questi sono andati ad arricchire una collana di dodici fascicoli inerenti ai progetti ambientali realizzati in passato da Labnet Lazio e che oggi sono consultabili sul nostro sito. Ne siamo davvero entusiasti, è stato un lavoro intenso ma molto apprezzato dal territorio, proprio per questo verrà realizzato, in una chiave simile, un progetto sul tema delle acque anche in una scuola del Comune di Latina.

    World Soil Day: l’impatto dell’acqua nella protezione del suolo

    Word Soil Day

    Il 5 dicembre di ogni anno si celebra il World Soil Day, conosciuto in Italia come Giornata Mondiale del Suolo, una data istituita nel 2014 dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) per ricordare l’importanza di mantenere un suolo in salute per ottenere ecosistemi sani e un benessere umano e animale.

    L’edizione 2022 è dedicata alla sensibilizzazione sul grave problema della perdita di nutrienti del suolo, riconosciuto come uno dei maggiori fattori di rischio a livello globale per la sicurezza alimentare e la sostenibilità in tutto il mondo, non a caso è stato scelto per la campagna il nome “Soils, Where food Begins” (Suoli, dove inizia il cibo).

    Ma qual è il rapporto tra acqua e suolo?

    Il suolo regola il ciclo naturale dell’acqua, filtrandola e depurandola. Questo rappresenta un anello fondamentale del flusso energetico e del ciclo dei nutrienti che contraddistinguono l’ecosistema Terra.
    La maggior parte delle funzioni ecologiche ed economiche assicurate dal suolo sono però permesse soltanto se il bacino idrico non viene compromesso.

    Tra le minacce che affliggono i suoli, infatti, molte di queste sono dovute all’acqua, sia per motivi ambientali sia per una sua cattiva gestione. Tra i pericoli rappresentati dalla risorsa idrica troviamo, ad esempio:

    • Erosione: dovuta a un’impattante azione dell’acqua che porta gradualmente alla perdita di suolo. Questa può essere accelerata da eventi climatici estremi quali piogge intense o, al contrario, siccità. La conseguenza, oltre alla perdita di porzioni di territorio, è l’innalzamento del livello del mare che può modificare il suolo delle aree costiere o portare contaminanti di origine marina;
    • Salinizzazione: dovuta a un’eccessiva irrigazione, in particolar modo quando le acque sono di scarsa qualità e portano a un accumulo di sali;
    • Inondazioni: dovute a una quantità di acqua in eccesso che non riesce ad essere assorbita dal suolo e finisce inevitabilmente per formare corsi d’acqua pericolosi;
    • Smottamenti: quando un terreno è sovraccarico d’acqua e, aumentando di peso, scivola verso il versante.

    I cambiamenti climatici sono in parte causa di questi rischi; ma non solo: a partire dagli anni Cinquanta, infatti, l’umidità del suolo si è fortemente ridotta nell’Europa mediterranea, mentre è aumentata in quella settentrionale. Il calo di umidità può rendere necessaria una maggiore irrigazione dei terreni agricoli e causare una diminuzione dei raccolti, se non addirittura una desertificazione dei suoli con conseguenze drammatiche nella produzione alimentare.

    Per poter contribuire a modificare tale situazione è necessario agire nel rispetto delle diverse risorse naturali.

    Nel corretto utilizzo del suolo, è necessario partire dai gesti più semplici, evitando il suo inquinamento con scarti e rifiuti. Oltre a queste “piccole” azioni, scienziati e attivisti hanno più volte indicato l’importanza di agire sugli ecosistemi per difenderli e contribuire a ripristinarli attraverso, ad esempio, lo stoccaggio di carbonio organico presente nei suoli della Comunità Europea.

    Ma, proprio riguardo all’acqua, è fondamentale ricordare l’importanza di un utilizzo consapevole della risorsa, in particolare nel settore agricolo. Come soluzione ai tradizionali metodi utilizzati in agricoltura, infatti, lo sviluppo di nuove tecnologie rispettose sia del suolo che dell’acqua possono essere un punto di partenza: si pensi ad esempio alla tecnica a idroponica, in cui non si utilizza (o si utilizza in minima parte) il terreno, salvaguardando al contempo l’acqua da un suo sproporzionato sfruttamento.

    Nell’utilizzo di entrambe le risorse, tanto dell’acqua quanto del suolo, questa giornata ci ricorda come queste rappresentino un bene pubblico fondamentale per la sopravvivenza. Queste possono essere sfruttate ma non distrutte, per questo chi le utilizza è anche responsabile della loro protezione.

    L’acqua come alleato: l’invecchiamento del vino nei fondali marini grazie a Orygini

    https://www.egato4latina.it/?p=3936

    Attraverso la rubrica “acqua e cultura Egato 4 Latina racconta la storia di quelle realtà che hanno scelto di utilizzare la risorsa idrica in modo innovativo, smart e non convenzionale. Come Orygini, una start-up che ha fatto delle acque marine siciliane le proprie “cantine” in cui sviluppare un nuovo tipo di invecchiamento del vino, quello subacqueo. Ne parliamo con Luca Catania, uno dei tre fondatori e grande appassionato di enologia, tanto da farla diventare parte centrale della propria vita.

    Luca, come è nata l’idea di fondare Orygini?

    Orygini nasce da tre amici con esperienze professionali completamente diverse: Io mi occupo di comunicazione e marketing, Riccardo Peligra si occupa di finanza e Giuseppe Leone è un ingegnere. Tutti e tre siamo accomunati dalla passione di vini. Proprio per questo, uno di noi si è imbattuto in un articolo che trattava del ritrovamento di alcune casse di Champagne che, rimaste per anni sul fondale marino, inaspettatamente risultavano integre e avevano dato a quest’ultimo un’ottima qualità.
    Da questa rivelazione è nata la nostra idea: abbiamo subito pensato di vedere cosa sarebbe accaduto facendo maturare il vino nelle acque della Sicilia. Poi, come il famoso detto, ottimo per il nostro contesto, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”: l’attività che avevamo in mente non era infatti regolamentata e riuscire a registrare la nostra “cantina” a 48 metri sul fondale marino è risultato molto complicato.

    L’affinamento è quindi il punto focale della vostra attività?

    Si. Dopo aver selezionato i vini da immergere, prodotti dalle due cantine che collaborano con noi – la Cantina Benanti e la Cantina Passopisciaro – prepariamo le bottiglie per l’immersione e, durante la notte (per evitare sbalzi termici) le trasportiamo al molo dove inizierà il loro viaggio tra le acque siciliane. Il punto di immersione si trova infatti in un’Area marina protetta, quella dell’Isola dei Ciclopi, vicinissima al vulcano Etna. In questi fondali le bottiglie vengono adagiate e rimangono per il periodo di invecchiamento richiesto (normalmente di sei mesi).

    L’acqua diventa quindi un vostro alleato: siete l’esempio di come la risorsa idrica possa essere utilizzata in maniera totalmente innovativa.

    Assolutamente. Per scoprire cosa accadesse al vino sott’acqua abbiamo contattato l’Università di Catania. Questa ha condotto delle analisi su ogni singolo step. A oggi è in corso il primo studio a livello internazionale sull’invecchiamento dei vini nell’acqua di mare. Questo ci permetterà di creare un protocollo di affinamento subacqueo. In ogni caso, dai dati scientifici e dall’assaggio si può notare come, grazie a questa risorsa, il vino raggiunga un’ottima qualità in un breve lasso di tempo: sembra infatti che il mare, attraverso la temperatura costante, le microfiltrazioni, il buio, l’assenza di rumore e i piccoli movimenti, riesca a invecchiare più velocemente il vino. Un ottimo dato sia per il prodotto che per l’impatto ambientale.

    Una caratteristica di questa tecnica è infatti il bassissimo impatto a livello energetico e ambientale.

    Sì. Grazie alla temperatura marina che rimane costante (14 gradi), abbiamo trovato il clima ideale che ci permette di evitare l’energia necessaria a refrigerare una qualsiasi cantina. L’impatto è notevole, basti pensare che per 1.000 bottiglie immerse, si risparmiano ben 68 chilogrammi di CO2 rispetto ai tradizionali metodi di affinamento in superficie.

    Inoltre, tutto ciò che viene utilizzato nelle cantine in fase di raffreddamento, e che può richiedere l’utilizzo di acqua, viene meno in quanto il fondale marino permette di raggiungere le temperature ottimali senza la necessità di utilizzare strumenti tecnologici appositi. Il che ci permette di avere un risparmio idrico dato da tutti gli strumenti che abbiamo deciso di eliminare nell’affinamento.

    E non esiste alcun rischio per quanto riguarda l’ecosistema marino?

    Assolutamente no. Agiamo nell’assoluto rispetto delle acque e siamo stati autorizzati dall’Area Marina Protetta, la quale ha verificato che non ci fosse alcun tipo di rischio per l’ecosistema. Il completo rispetto delle acque è infatti tra i nostri obiettivi, per questo ci stiamo muovendo per implementare maggiormente la sostenibilità nella mobilità via mare, che nel prossimo futuro vogliamo rendere completamente green attraverso strumenti di trasporto a idrogeno.

    COP27: l’acqua al centro con il progetto AWARe

    La crisi idrica globale sta attualmente colpendo miliardi di persone in tutto il mondo e si prevede che sarà ulteriormente aggravata dall’aumento della domanda, dal cambiamento della disponibilità idrica e dal crescente impatto di inondazioni e siccità.

    Solo attraverso una maggiore cooperazione internazionale può essere data una risposta a queste problematiche, ed è infatti di questo che si è discusso nella sessione di apertura della giornata tematica dell’acqua durante COP27. Un argomento particolarmente rilevante quello dell’acqua, ma non sempre discusso durante le Conference of Parties. L’ospitata egiziana ha aiutato a far emergere il tema: è stato infatti ricordato che le risorse idriche del Paese non potranno soddisfare a lungo i bisogni della sua popolazione in crescita.

    Durante l’evento, proprio ricordando come gli scenari climatici futuri prefigurino uno stress idrico estremo, la presidenza di COP27 insieme all’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) hanno presentato AWARe (Action on Water, Adaptation and Resilience), un’iniziativa per mettere l’acqua al centro della discussione pubblica e promuovere la cooperazione mondiale sulla stesso.

    La sfida di AWARe sarà quella di offrire soluzioni di adattamento al cambiamento climatico che siano efficienti per la vita delle persone e del pianeta. Tre gli obiettivi principali del progetto:

    • Diminuire le perdite d’acqua in tutto il mondo e migliorare l’approvvigionamento idrico;
    • Proporre e sostenere l’attuazione di politiche comuni inerenti alla tematica dell’acqua;
    • Promuovere la cooperazione internazionale al fine di raggiungere gli obiettivi dell’Agenda 2030, in particolare l’SDG 6 inerente alla risorsa idrica.

    Il ministro egiziano per i sistemi idrici e di irrigazione, Hani Sewilam, ha dichiarato: “La crisi idrica globale sta colpendo miliardi di persone in tutto il mondo. L’iniziativa AWARe catalizza la cooperazione inclusiva per l’adattamento all’utilizzo dell’acqua visti i cambiamenti climatici, oltre a una maggiore resilienza“.

    Dall’iniziativa verranno quindi concordate misure per: disaccoppiare la crescita economica dall’uso e dal degrado dell’acqua; proteggere e ripristinare gli ecosistemi di acqua dolce; promuovere una gestione sostenibile delle acque reflue; creare strategie igienico-sanitarie e percorsi energetici efficienti.

    Inoltre, sarà fondamentale anche il lavoro dedicato allo sviluppo dei sistemi di allerta precoce per eventi meteorologici estremi: “Il 74% di tutti i disastri naturali sono legati all’acqua – ha commentato la Dott.ssa Elena Manaenkova, vicesegretaria generale del World Meteorological Institute – dobbiamo ancora fare molto per aiutare le società e avere strategie efficaci di gestione dei disastri che proteggano le comunità e limitino i rischi legati al clima“.

    Il Pan African Centre For Climate Policy, ospitato dall’Egitto, garantirà il principale meccanismo di attuazione e si concentrerà sulle principali attività e azioni di AWARe, tra cui finanza, tecnologia e sviluppo.

    No Plastic Bag Day: il 12 settembre sensibilizza all’eccessivo utilizzo di plastica

    Il 12 settembre si celebra il No Palstic Bag Day, la giornata mondiale senza sacchetti di plastica. 

    Istituita nel 2009 da The Marine Conservation Society, la giornata mira a sensibilizzare i cittadini sui danni provocati dalla dispersione della plastica, incentivando l’utilizzo di materiali alternativi – in particolar modo per quanto riguarda le plastic bag

    Secondo i dati diffusi dall’Unione Europea, in Europa ogni anno vengono prodotte più di 100 miliardi di borse di plastica, le quali generano circa 25 milioni di tonnellate di rifiuti. Meno del 30% di queste viene però raccolto e riciclato, finendo in buona parte in discarica dopo un ciclo di vita molto breve – si stima, infatti, che l’utilizzo medio di un sacchetto di plastica sia di circa 12 minuti, al termine del quale viene buttato via. In compenso, gran parte dei sacchetti continua a esistere e, se non biodegradabili, possono impiegare più di 30 anni prima di decomporsi. 

    Da sottolineare in questa giornata è la gravità dei danni che questo processo può causare: secondo il WWF, ogni anno 150 milioni di tonnellate di plastica vengono disperse negli oceani. Il mediterraneo conta 570 mila tonnellate – ovvero più di 30 mila sacchetti di plastica buttati in mare ogni minuto. 

    Questo ha un impatto non solo sull’ambiente, ma anche sul suo ecosistema e sulla salute dei suoi abitanti. Si stima infatti che l’ingestione di plastiche sia stata accertata in più di mille specie animali, risalendo tutti i gradini della catena alimentare: partendo dagli invertebrati fino ai predatori, incluso l’uomo. 

    La giornata mira quindi a cambiare il trend dei consumi, ponendo un accento sulla necessità di abbandonare la plastica per soluzioni maggiormente sostenibili e, di conseguenza, più sane per la nostra salute.  

    Come poter fare? La soluzione più semplice è quella di abbandonare i sacchetti di plastica monouso, prediligendo quelli riutilizzabili di stoffa o compostabili. 

    Ma questo non basta. Ecco per questo alcuni consigli per iniziare ad adottare buone abitudini: 

    • Riutilizza i sacchetti di plastica: non gettarli, ma usali come contenitori per il riciclo; 
    • Preferisci cibo fresco a quello confezionato in buste di plastica;
    • Preferisci il vetro: è un materiale più sostenibile rispetto alla plastica e facilmente sterilizzabile; 
    • Durante le tue passeggiate non buttare bottiglie e involucri di plastica dove capita, ma utilizza gli appositi bidoni; 
    • Anche durante il No Plastic Bag Day non dimenticare di utilizzare materiale compostabile, borracce di alluminio al posto delle bottigliette e ricicla tutto il riciclabile; 
    • Partecipa alle iniziative locali di raccolta della plastica in spiaggia, campagna e nelle città. 

    Ricorda: ogni tua azione può aiutare a salvare l’ambiente. 

    Earth Overshoot Day 2022: il 28 luglio si esauriscono le risorse rinnovabili dell’intero anno 

    Oggi è l’Earth Overshoot Day, la data che segna l’esaurimento di tutte le risorse naturali che il pianeta è capace di rigenerare in un anno

    Questa viene calcolata ogni anno dal Global Footprint Network utilizzando i dati di ogni paese e i conti delle loro biocapacità. La data cambia continuamente, anticipandosi di anno in anno. 
    Il primo Overshoot Day si registrò il 10 dicembre 1972. Da allora, la popolazione è cresciuta del 121%, aumentando la sua impronta ecologica di circa il 60%. E infatti, il 2022 registra il più grande deficit di sempre, cadendo un giorno in ritardo rispetto al 2021 e portando a 19 anni il debito ecologico globale di rigenerazione del pianeta. 

    Che cosa accade con l’Earth Overshoot Day? 

    Il nostro pianeta produce differenti risorse biologiche in grado di rigenerarsi autonomamente. Queste, però, non sono illimitate e il loro sfruttamento rischia di creare gravi deficit, tali da provocare una sofferenza e una carenza di risorse a livello mondiale. Questa insufficienza conduce inevitabilmente all’Overshoot Day, giorno in cui l’intera popolazione mondiale inizia ad utilizzare risorse non rinnovabili per il resto dell’anno, attingendo quindi al consumo destinato al 2023

    Con risorse non rinnovabili intendiamo tutto ciò che fa capo al “capitale naturale”, come suoli, foreste, falde acquifere, acqua dolce, zone umide, seminativi, minerali e combustibili fossili. Per poter rigenerare tutte queste ed i loro servizi ecosistemici sarebbe necessaria la biocapacità di 1,75 Terre e tale cifra dovrebbe salire a due Terre entro il 2030. 

    Inoltre, dobbiamo considerare che non tutti i paesi versano nelle stesse condizioni. Il Global Footprint Network rende noto ogni anno, oltre al dato globale, anche il debito ecologico delle singole nazioni. L’Italia ha segnato in rosso la data del 15 maggio e, secondo i calcoli del National footprint and biocapacity accounts, avremmo bisogno di 5,3 Italie per poter pareggiare il nostro debito ecologico. Quelli italiani rappresentano i dati più alti in termini di sfruttamento delle risorse: siamo infatti secondi solo al Giappone. 

    Esiste una soluzione? 

    Da anni esperti e scienziati vagliano soluzioni sostenibili per il Pianeta, ma c’è una verità che non possiamo ignorare: siamo ospiti della Terra e solo nuove politiche di sviluppo e buone pratiche applicate da tutta la popolazione possono salvare le risorse naturali e far nascere un nuovo sistema di sviluppo basato sulla sostenibilità e la rigenerazione. 

    Il Global Footprint Network ha calcolato e, successivamente, proposto una serie di soluzioni che contribuirebbero a rallentare il l’Overshoot Day: 

    • Rimboschire 350 milioni di ettari di foresta, intervenendo nella tutela e conservazione degli spazi selvaggi, ripristinando ecosistemi e contribuendo all’agricoltura rigenerativa, questo anticiperebbe la data di 8 giorni
    • Ridurre del 50% l’utilizzo dell’auto, farebbe regredire di almeno 13 giorni
    • Il cibo da solo occupa oggi il 55% della biocapacità della Terra. Se il consumo mondiale di carne fosse ridotto del 50% e queste calorie fossero sostituite da una dieta vegetariana, il giorno sarebbe spostato di 17 giorni, mentre ne sposteremmo 13 dimezzando gli sprechi alimentari nel mondo; 
    • Efficientare le reti elettriche farebbe arretrare l’Earth Overshoot Day di 21 giorni, mentre alimentarci prevalentemente da fonti di energia pulite lo ritarderebbe di ben 93 giorni, ovvero più di tre mesi. 

    “Storia di Acqua”: il cortometraggio di Luca Pagliari per sensibilizzare sull’importanza della risorsa idrica

    “Storie di Acqua” è un documentario nato per raccontare cosa si celi dietro al ciclo dell’acqua, una risorsa tanto preziosa quanto vulnerabile.

    L’idea nasce da Luca Pagliari, giornalista e scrittore, che durante un viaggio tra le fonti del territorio italiano, ha realizzato un cortometraggio sulla risorsa idrica e sull’importanza che essa ha per il bene del pianeta e dei suoi abitanti.

    La trama si articola tra i racconti di persone che ogni giorno sono a contatto con questo elemento, testimonianze che cercano di sensibilizzare il pubblico sul tema dell’acqua e sulla difesa dell’ecosistema ad essa circostante.

    Il progetto è stato abbracciato dal Gruppo Sanpellegrino, da sempre impegnato nella tutela idrica e delle fonti d’acqua minerale. Per questo motivo, il Gruppo ha permesso a Pagliari di visitare le sue fonti (Levissima, Nestlé e Acqua Panna) dal cuore delle Alpi Retiche, passando per il Mugello, fino a S.Stefano in Quisquina in Sicilia.

    Le tappe vissute da Pagliari, riproposte in video suggestivi, portano alla luce un fatto noto ma spesso sottovalutato: l’acqua è una risorsa rinnovabile ma non infinita e la sua tutela dovrebbe essere, oggi più che mai, un fattore centrale nella vita di ogni cittadino.

    Il cortometraggio è online sulle piattaforme web del Gruppo Sanpellegrino: clicca qua per vederlo.

    Fonte: Sanpellegrino-corporate.it

    Questione ambientale e nuove generazioni: la sfida di “Zhero” per avvicinare i più piccoli al mondo della sostenibilità

    Conoscere la macchina della sostenibilità e del rispetto per l’ambiente è diventato di primaria importanza non solo per gli adulti, ma anche per i più piccoli.

    Con questo intento nasce il libro “Zhero – il segreto dell’Acqua” di Marco Laverà, amministratore di Snam – società specializzata in infrastrutture energetiche tra le più rinomate al mondo.

    La trama di Zhero prende vita nella città dell’acqua per antonomasia: Venezia. Qua, tre brillanti ragazzini si troveranno a dover affrontare una corsa contro il tempo per salvare un importante luminare della fisica, nonché loro amico, scomparso in circostanze misteriose. Il futuro dell’umanità potrebbe essere riposto proprio nell’ultima invenzione del professore, una macchina per produrre energia verde proprio partendo dall’acqua. Tocca quindi ai razzi raccogliere l’eredità del luminare ed impedire che il buio cali sulla terra.

    Attraverso questo viaggio tra le pagine di Zhero, che oggi si sono trasformate anche in parole grazie al podcast disponibile su tutte le piattaforme di ascolto (Spotify, Spreaker, Google Podcast, Apple Podcast), il pubblico più giovane potrà riflettere sulla transizione energetica e conoscere i vantaggi ambientali dell’idrogeno verde prodotto dalle elettrolisi dell’acqua. Il che potrebbe tradursi anche nell’incoraggiamento dei ragazzi ad approfondire le materie scientifiche e ad appassionarsi al mondo della sostenibilità e dell’innovazione.

    Chasing Ice: un viaggio tra i ghiacciai per documentare il cambiamento climatico

    Chasing Ice: un documentario diretto da Jeff Orlowski, presentato nel 2012 e disponibile oggi su Netflix con l’intento di mostrare in modo tangibile come i cambiamenti climatici stiano agendo sul nostro pianeta. 

    La storia del lungometraggio ha inizio nel 2005, quando ad uno dei protagonisti del documentario, il noto fotografo ambientalista James Balog, venne richiesto dalla National Geographic di dirigersi al Circolo Polare Artico per monitorare i danni afflitti ai ghiacciai dal surriscaldamento globale.

    Sebbene scettico, nella primavera del 2005 Balog si dirige alla scoperta dell’Artico accompagnato da altri colleghi, tra cui  Svavar Jonatansson, Adam LeWinter, Louie Psihoyos e lo stesso Orlowski.
    Grazie a loro la storia prende vita dando una prova diretta ed innegabile dei cambiamenti sul nostro pianeta: attraverso videocamere time – lapse posizionate in diverse aree del Circolo Polare, i fotografi hanno catturato numerosi immagini di ghiacciai in movimento che scompaiono ad un ritmo impressionante.

    Questo ricorda allo spettatore che i ghiacciai artici rappresentano una risorsa unica nel suo genere: essendo la più grande riserva di acqua dolce del pianeta, questi si traducano in un elemento chiave per la nostra sopravvivenza.

    Lo scioglimento degli stessi può però provocare un pericolo non solo per l’essere umano: l’impatto che ha sulla vita degli esseri viventi e del nostro pianeta in generale può portare a dei danni irrevocabili.

    Con la dispersione di grosse quantità di acque dolci nei nostri oceani si può infatti andare incontro ad uno sconvolgimento dell’habitat di molte specie marine, fatto che contribuirà alla loro estinzione.
    Tra i danni più feroci anche l’impatto dell’innalzamento del livello dei mari, con la conseguente comparsa di eventi metereologici catastrofici come le inondazioni e, in casi estremi, la scomparsa di interi paesi.

    Chasing Ice, il quale ha ricevuto anche una candidatura per il premio Oscar, toccherà quindi in maniera profonda un mondo lontano e di cui spesso non si ha consapevolezza, dando modo di riflette e di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle proprie scelte. Se, infatti, il discioglimento del ghiaccio monitorato oggi riguarda i cambiamenti di temperatura avvenuti anni fa, dobbiamo agire subito e più in fretta per poter garantire un futuro al pianeta.